Misurare il ROI del marketing digitale

Mi confida un amico, responsabile comunicazione di una grande azienda: “Ho un team di 5 persone nel digital marketing ma non sono ancora riuscito a capire cosa fanno tutto il giorno e a cosa mi servono realmente”.

Dopo questo episodio ho cominciato a domandarmi come misurare il ROI (il ritorno sull’investimento) delle iniziative di digital media marketinge più in genere di comunicazione digitale.

Chi è coinvolto operativamente può dare risposte del tipo: “Sì, certo, ho prodotto un post al giorno o al mese, ho 100 follower sul tal social media…”.

L’imprenditore si domanda: i social media servono per avere nuovi contatti o, come si dice, nuovi lead? Per avere nuove richieste di visita agente? Per aumentare le vendite tramite ecommerce? In altre parole, come posso misurare se una azienda spende bene i suoi soldi nel digital media marketing? Lo dico rispetto agli obiettivi aziendali, evidentemente. In realtà, credo la domanda corretta sia: come possiamo collegare questi dati con le metriche tradizionali dell’azienda? Contatti, lead, prospect, vendite…

Facciamo un passo indietro.

Sul mercato si muovono generazioni diverse. C’è chi non risponde al telefono ma se lo citi in un social media ti risponde all’istante. Generazioni diverse e strumenti diversi. C’è chi non legge le newsletter ma ha una fascia oraria in cui probabilmente risponde al telefono. Durante la giornata passiamo ore o minuti a guidare e possiamo solo ascoltare la radio. O un podcast. Alcuni minuti al giorno leggiamo i titoli delle email e decidiamo: questa la apro, questa no. A volte ci sentiamo soli come un cane, magari in pausa pranzo, e allora cosa facciamo? Vediamo cosa dicono sui social. Leggiamo molto ma comunichiamo poco (così dicono). Chiamo un cliente e mi dice “Oh, leggo sempre le vostre newsletter, state andando forte”. È il risultato che mi piace di più, quindi quello per cui pagherei di più. Non so se quel cliente sia convinto o no. Ma una volta che lo ha verbalizzato, saranno queste parole dette da lui stesso a risuonare dentro di lui. Difficile che poi non si convinca realmente.

L’informazione uno a molti deve essere fresca e frizzante. Il contatto uno a uno deve essere coinvolgente e proseguire una conversazione iniziata magari sei mesi fa. C’è poco da fare, nel mio cervello c’è uno spazio per ogni faccia e là è archiviata la conversazione. Appena vedo la faccia riprendo la conversazione da dove l’avevo lasciata. Tempo frammentato, canali frammentati… strategia complessa. Non voglio essere conservativo dicendo “twitter non serve a niente” né voglio cadere nella trappola che, dato che ci sono 1 milione di post al giorno, per emergere devo agire di quantità. Non credo che la risposta quantitativa basti da sola. Ma io non vivo di social media. Voglio dire, non ho il problema di creare il bisogno per poi rispondere a questo bisogno. Mi mantengo facendo marketing, che è una cosa seria.

Durante le vacanze vivo benissimo senza il mondo digitale. Possiamo dire che i social media hanno creato il bisogno di comunicare attraverso i social media stessi? Forse no. Forse non del tutto. Tuttavia ho capito che il manager quarantenne non è un target raggiungibile via social media quando è in vacanza. Fai prima a cercarlo sui sentieri di montagna o in riva al lago. Per i trentenni forse non è così.

Torniamo alle strategie di marketing digitale e alla misurazione dei risultati, per concludere. Qual è il vantaggio di assumere temporaneamente un consulente di marketing rispetto ad assumere permanentemente un digital media marketer? Ti prendi il tuo tempo per studiare la situazione. Riduci i costi, riduci il rischio. Non dico di non assumere giovani talenti, ma meglio dopo aver fatto il tagliando alle proprie strategie. Se assumi uno senza avere una strategia, lui lo capirà dopo una settimana, e da quel momento non cercherà altro che di dimostrare che il suo ruolo è essenziale, e che le attività di marketing digitale sono solo una questione quantitativa: inondiamo il mondo di megabyte ed avremo il successo garantito.

Io credo che nella comunicazione digitale ci voglia più cervello che quantità.Certo, le professionalità e le tecniche sono necessarie, ma occorre nel contempo creare un know how interno tagliato su ciascuna azienda.
Così posso creare vere opportunità di sviluppo (e di lavoro vero) integrando con efficacia la comunicazione digitale con le strategie aziendali.